mercoledì 30 novembre 2011

New York- Bronx- Empire State Building- Harlem

Oggi ho dedicato la giornata alla New York nera.
Il Bronx, storicamente quartire di immigrati italiani e latini oggi è quasi interamente abitato da Portoricani scappati dalla povertà della loro terra per trovare nuova povertà ed emarginazione nella grande metropoli. Qui tutto parla portoricano: la musica che proviene dalle casse dalle macchine con i finistrini abbassati  in questo clemente giorno di fine Novembre, le bandiere che sventolano da un capo all'altro delle strade, i volti della gente che discute agli angoli delle strade. I cartelli sono scritti in doppia lingua: inglese e spagnolo. Nell'aria rieccheggia il nome Jennifer Lopez, originaria proprio di questa zona. Lo urla il venditore ambulante per attirare più clienti, lo sussurrano un gruppo di ragazzine che gioca nel cortile della scuola. Jennifer Lopez, il vanto e la rivincita di questo quartire ai margini. Qui non si vede lo scintillare lussuoso delle luci natalizie ma in aria ci sono delle scarpe appese ai fili. Sono il simbolo di confine tra due gang rivali o il segno che li, in quel punto, è possibile acquistare droga. I bambini cresciuti qui spesso si fanno beffa di questa usanza e lasciano per aria le scarpe finchè non si appendono ai fili. Giocano, come tutti i bambini del mondo.
In questo quartire lo sguardo della gente è più intenso e più scaltro allo stesso tempo. Si chiedono come mai tra tutte le cose che ci sono da vedere a New York, tu bianco e turista sei finito proprio qui. Dall'altra parte si sentono scrutati, guardati e giudicati da te e allora abbassano lo sguardo, si girano, ti evitano. Se però li guardi con un sorriso sulle labbra loro alzano gli occhi e rispondono al tuo sorriso.
A mezzogiorno vado a mangiare un pezzo di pizza all'americana in un carino fast food vicino a Penn Station. Qui i negozi pullulano ed è difficile resistere a fare shopping perchè i prezzi sono davvero convenienti. Quindi, anche se il mio zaino non me lo permetterebbe, compro un paio di scarpe da ginnastica e una maglietta in ricordo di New York.
Mi dirigo poi all'Empire State Building e comincio a salire con il velocissimo ascensore. 84 piano, vista mozzafiato. Si sta sul grattacielo più alto di New York circondato da migliaia di altri gattacieli. In mezzo agli edifici altissimi si vede il polmone della città, Central Park, nei suoi colori autunnali. Sullo sfondo su un'isolotta si scorge la statua della libertà e i fiumi che si buttano nell'oceano. Salgo ancora di qualche piano fino al 102. Qui sembra davvero di toccare il cielo con un dito, sia per l'altezza che per il panorama.
Verso sera mi dirigo ad Harlem. Anche qui la gente ha prevalentemente la pelle nera e tutto è impregnato di musica. Entro in una chiesa per ascoltare il Gospel. La gente si siede nei banchi simili a quelli di una chiesa cattolica ma circolari, forse per dare l'idea di essere stretti in un abbraccio. La maggior parte sono neri e qua e là c'è qualche viso pallido. Entra il reverendo e da inizio alla funzione, dietro di lui un coro di una quindicina di persone tra uomini e donne, tutti rigorosamente vestiti di nero, inizia a cantare. Tra i banchi qualcuno batte le mani, altri cantano insieme al coro, altri ancora tendono le mani verso il cielo, altri si alzano e ballano. Si, ballano! Il canto gospel è un canto corale, partecipativo, convolgente. Le ugole nere ti entrano nelle orecchie e nel cuore e ti fanno venire i brividi e le lacrime agli occhi. Sono tutti li per cantare, cantare per il Signore, cantare per loro. Il senso della comunità è forte, è penetrante. Non ci sono i ritmi scanditi della messa cattolica. Ognuno parla, si alza, risponde al reverendo, fa ciò che si sente e quando lo sente. C'è un senso di gioia nell'aria, un senso di vita. Dopo il gospel riprende la parola il reverendo. Legge un passo della Bibbia, capitolo secondo di Luca, e poi inizia la predica. Una predica concreta, vera, esplicita, diretta. Il succo è che bisogna vivere con gioia, ma non la gioia ricercate nelle cose o negli altri, la gioia del nostro cuore, quella che il reverendo definisce la nostra Betlemme. Vivere la gioia del momento senza pensare nè al passato nel al futuro: Live the beauty and the joy of the moment.
Dopo la predica la messa finisce, il coro intona un ultimo canto Gospel.
Un'esperienza densa di emozioni che consiglio a tutti di fare, credenti e non.
Per cena vado in un localino che ha un menù tutto italiano anche se i proprietari e i cuochi sono latino-americani. La lasagna vegetariana è comunque molto buona.

1 commento:

  1. Arrivoooooooooooooo Lori!!!

    Ci vediamo tra 8000 km!

    Appuntamento ore 19 da Bubba gump :-)
    Ti chiamo appena arriviamo!

    Un bacione

    S.

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